«Negli Stati Uniti il metodo di insegnamento nelle arti è diverso che in Europa: si lavora insieme ai giovani, che hanno un loro studio dentro l'università, si va a vedere cosa fanno, conversando e discutendo insieme innanzitutto dei problemi che riguardano la storia dell'arte e le diverse tecniche artistiche.»
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«Per me l'opera è sempre in relazione ad ambienti (contesti) concreti che ho visto, visitato e conosciuto. Così, alcune mie sculture che si richiamano alla natura non sono collegate ad un'idea essenzializzata ed astratta di natura, ma alla concretezza del paesaggio e dell'ambiente.»
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«Noi artisti siamo dotati di una particolare sensibilità nell'assorbire e nell'esprimere quello che ci sta attorno, a volte senza nemmeno capire dove si può arrivare.»
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«Non credo all'ispirazione, si tratta piuttosto di suggestioni, di folgorazioni che ti vengono in diverse situazioni, nei momenti più impensabili.»
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«Nel 1996, in un viaggio nello Yemen, fui folgorato dalla visione delle colonne più preziose dell'intera Arabia felix, quelle della regina di Saba. Tronconi di pilastri non rotondi, ma rettangolari. Con graffiti smangiati dalla luce del deserto e dal vento: storie arcane di una civiltà perduta. Le mie Stele sono mosse da squarci ricamati da piccoli cunei e altre geometrie, così da sprigionare un valore ulteriore e costituire un'espressione distinta da quelle originali.»
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«La sfera è una forma magica. La superficie lucida rispecchia ciò che c'è intorno, restituendo una percezione dello spazio diversa da quello reale, e crea mistero. Rompere questa forma perfetta mi permette di scoprirne le fermentazioni interne mostruose e pure.»
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«In America ci sono molti collezionisti che amano il mio lavoro e che non pensano solo all'investimento, come oggi purtroppo avviene un po' dappertutto.»
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«Per me l'America ha rappresentato un approccio non accademico e non-retorico all'arte: c'è infatti una grande sensibilità per le opere d'arte quando vi emerge una forza creativa e innovativa, quando vi si coglie una intuizione, una rottura, un senso di freschezza.»
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«Ho conosciuto quasi tutti gli stati americani, anche quelli centrali. Certo ho avuto la fortuna di viverci nel periodo migliore: ho conosciuto la libertà di un grande paese democratico, dove vale la "divisione dei poteri" secondo i princìpi della rivoluzione francese e dell'illuminismo. E ricordo che proprio un italiano, Filippo Mazzei, geniale e avventuroso pensatore che tra l'altro impiantò le prime vigne negli Stati Uniti, ha partecipato alla redazione della costituzione americana.»
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«Ho sempre subìto un grande fascino per tutti i segni, soprattutto quelli arcaici. Anche la scrittura mi ha attratto, dai segni primordiali nelle grotte, alle tavolette degli Ittiti e dei Sumeri, tanto che ho dedicato una mia opera, Ingresso nel labirinto, a Gilgamesh, che è il primo (2000 a.c. circa) grande testo poetico e allegorico sull'esperienza umana. Le impronte che scavo, irregolari o fitte, nella materia artistica, i cunei, le trafitture, i fili, gli strappi, mi vengono inizialmente da certe civiltà arcaiche.»
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«Il sogno di andare in America era già dentro di me quando, verso la fine della guerra, aspettavamo che passasse la Quinta Armata americana. Il desiderio di andare negli Stati Uniti era soprattutto motivato dalla grande curiosità di conoscere da vicino gli artisti americani, dopo che avevo visto alcune opere straordinarie portate in Italia da Peggy Guggenheim, e altre alle Biennali di Venezia e di Parigi.»
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«L'accoglienza a Milano fu molto positiva. Allora la città era estremamente viva e vitale, con un'impronta europea e internazionale. È qui che cominciai a frequentare artisti e uomini di cultura (oltre a Fontana, Baj, Dangelo, Milani, Sanesi, Mulas...) e ad avere l'appoggio dei poeti e degli scrittori. Molto importante è stata la conoscenza con Fernanda Pivano e Ettore Sottsass: in casa loro ho avuto i primi incontri con gli americani.»
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«Avrei voluto fare l'architetto, ma mio padre si ammalò e così decisi di accorciare gli studi e diventare geometra per assicurarmi subito uno stipendio. Fui assunto al Genio Civile di Pesaro: mi dovevo occupare dei piani di ricostruzione degli edifici distrutti dalla guerra. Eravamo tra la fine degli anni Quaranta e i primi anni Cinquanta; poiché non lavoravo nel pomeriggio, lo trascorrevo per lo più in biblioteca, dove scoprii tante cose, persino un libretto di Klee che subito mi affascinò. Seguivo le recensioni di libri che venivano pubblicate sui giornali.»
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«Durante la guerra, poche erano le opportunità di conoscenza e di formazione culturale. Una signora sfollata aveva portato una valigia piena di libri e per un anno non feci altro che leggere: Faulkner, Steinbeck, Hemingway... tradotti da Vittorini. Gli amici di Milano che avrei poi conosciuto negli anni Cinquanta mi dicevano che durante la guerra questi autori si potevano trovare solo nella vicina Svizzera, a Chiasso e a Lugano. Sono stato fortunato!»
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«La "Colonna del viaggiatore" è stata una sfida, un esperimento che mi ha posto dei problemi tecnici: si tratta infatti della mia prima opera volumetrica in ferro colata a staffa, a differenza delle sculture che avevo realizzato in bronzo con il metodo della fusione a cera persa, che consente di scavare i diversi sottosquadri per creare ombre e giuochi di luce.»
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«Ho scelto i solidi della geometria intervenendo come una termite, per separare e togliere, per entrare all'interno della forma, per distruggerne il significato simbolico. In questo sentimento c'era forse anche la memoria della guerra che, a Orciano di Pesaro, era stata molto dura: lì vicino passava la "linea gotica", e ci furono continui bombardamenti. A venti chilometri c'era la polveriera di Montecchio, che fu fatta saltare dai tedeschi con un'esplosione spaventosa: ci parve un grande terremoto, ma fu anche il segno che la guerra stava per finire.»
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«Ho sempre considerato importante l'insegnamento, il rapporto con i giovani studenti, cercando di ristabilire il clima stimolante della bottega, dove insieme si può sperimentare e progettare.»
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«Avevo già capito che la strada della pittura non mi era congeniale, mentre ero attratto dalla materia che avevo bisogno di toccare e di trasformare.»
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«Nell'arredo urbano è fondamentale, a mio avviso, l'intervento artistico. Ciò richiede un lavoro di integrazione tra architetto e scultore, interessante e di stimolo reciproco, ma anche complesso e problematico.»
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«Credo che l'artista non possa chiudersi in una torre d'avorio e anzi debba essere coinvolto e proiettato nella società: è un problema etico che ho sempre sentito. Da questa consapevolezza nasce l'idea di una mia Fondazione.»
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