Giosuè Carducci

poeta, scrittore, critico letterario e accademico italiano

 
Giosue Carducci è stato un poeta e scrittore italiano. Carducci nasce nel 1835 a Valdicastello (Lucca) e trascorre la sua infanzia a Bolgheri. Dopo l'infanzia trascorsa in Maremma, e i moti del 1848, la famiglia si trasferisce a Firenze dove Carducci inizia lo studio degli autori classici. Carducci si iscrive poi alla Normale di Pisa dove consegue la laurea in lettere a soli vent'anni. Si dedica all’insegnamento e intanto pubblica le sue prime Rime. Nel 1860 viene chiamato ad insegnare letteratura italiana presso l’università di Bologna, dove trascorre la sua esistenza: scrive le opere poetiche che gli procurano subito grande fama ed esprime il suo impegno civile. Nel 1881 muore Lidia, e Carducci inizia un' intensa attività pubblicistica, collaborando a riviste prestigiose; è ormai diventato il rappresentante della cultura ufficiale, e nel 1890 è creato senatore. Nel 1898 pubblica la sua ultima raccolta, "Rime e ritmi"; due anni dopo aver lasciato l'insegnamento, è il primo italiano a ricevere il premio Nobel. Si spegne a Bologna nel 1907.
 
 
È l'Amor mio che in ogni sentimento vive e ti cerca in ogni bella cosa.
data: 07/28/15 autore:

«Chi riesce a dire con venti parole ciò che può essere detto in dieci, è capace pure di tutte le altre cattiverie.»

tag: cultura
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«T'amo, o pio bove; | e mite un sentimento. | Di vigore e di pace al cor m'infondi.»

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«La nebbia agli irti colli | Piovigginando sale, | E sotto il maestrale | urla e biancheggia il mare; | Ma per le vie del borgo | Dal ribollir dè tini | Va l'aspro odor de i vini | L'anime a rallegrar. | Gira sù ceppi accesi | Lo spiedo scoppiettando: | Sta il cacciator fischiando | Su l'uscio a rimirar | Tra le rossastre nubi | Stormi d'uccelli neri, | Com'esuli pensieri, | Nel vespero migrar.»

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«Sognai, placide cose dè miei novelli anni sognai. | Non più libri: la stanza dal sole di luglio affocata, | rintronata da i carri rotolanti su 'l ciottolato | da la città, slargossi: sorgeanmi intorno i miei colli, | cari selvaggi colli che il giovane april rifioria.»

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«L'albero a cui tendevi | la pargoletta mano, | il verde melograno | Dà bei vermigli fiori | Nel muto orto solingo | Rinverdì tutto or ora, | E giugno lo ristora | Di luce e di calor. | Tu fior de la mia pianta | Percossa e inaridita, | Tu de l'inutil vita | Estremo unico fior, | Sei ne la terra fredda, | Sei ne la terra negra; | Né il sol piú ti rallegra | Né ti risveglia amor.»

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«Là in Maremma ove fiorio | la mia triste primavera, | là rivola il pensier mio | con i tuoni e la bufera: | là nel cielo librarmi | la mia patria a riguardar, | poi co'l tuon vò sprofondarmi | tra quei colli ed in quel mar.»

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«T'amo pio bove; e mite un sentimento | Di vigore e di pace al cor m'infondi, | O che solenne come un monumento | Tu guardi i campi liberi e fecondi, | O che al giogo inchinandoti contento | L'agil opra de l'uom grave secondi: | Ei t'esorta e ti punge, e tu co 'l lento | Giro dè pazienti occhi rispondi. | E del grave occhio glauco entro l'austera | Dolcezza si rispecchia ampio e quieto | Il divino del pian silenzio verde.»

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«Dolce paese, onde portai conforme | L'abito fiero e lo sdegnoso canto | E il petto ov'odio e amor mai non s'addorme, | pur ti riveggo e il cuor mi balza tanto. | Pace dicono al cuor le tue colline | Con le nebbie sfumanti e il verde piano | Ridente ne le piogge mattutine.»

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«Ma ci fu dunque un giorno | Su questa terra il sole? | Ci fur rose e viole, | Luce, sorriso, ardor? | Ma ci fu dunque un giorno | La dolce giovinezza, | La gloria e la bellezza, | Fede, virtude, amor? | Ciò forse avvenne a i tempi | D'Omero e di Valmichi: | Ma quei son tempi antichi, | Il sole or non è più. | E questa ov'io m'avvolgo | Nebbia di verno immondo | È il cenere d'un mondo | Che forse un giorno fu.»

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«Sette paia di scarpe ho consumate | Di tutto ferro per te ritrovare, | Sette verghe di ferro ho logorate | per appoggiarmi nel fatale andare, | Sette fiasche di lacrime ho colmate | Sette lunghi anni di lacrime amare: | Tu dormi alle mie grida disperate, | Il gallo canta e non ti vuoi svegliare.»

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«L'arte come la concepisco e come non arrivo a farla io, è cosa altamente e perfettamente [...] aristocratica.»

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«Quem una uxor non castigat, degnius est pluribus. | Chi non considera la moglie un castigo, né meriterebbe più di una.»

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«Maggio risveglia i nidi, | maggio risveglia i cuori; | porta le ortiche e i fiori, | i serpi e l'usignol. | Schiamazzano i fanciulli | in terra, e in ciel li augelli: | le donne han ne i capelli | rose, ne gli occhi il sol. | Tra colli prati e monti | di fior tutto è una trama: | canta germoglia ed ama | l'acqua la terra il ciel. | E a me germoglia in cuore | di spine un bel boschetto; | tre vipere ho nel petto | e un gufo entro il cervel.»

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«L'ora presente è invano, non fa che percuotere e fugge.»

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«Muor Giove, e l'inno del poeta resta.»

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«Ai giudizi dei nemici vuolsi avere sempre la debita osservanza.»

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«Colui che potendo esprimere un concetto in dieci parole ne usa dodici, io lo ritengo capace delle peggiori azioni.»

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«Chi riesce a dire con venti parole ciò che può essere detto in dieci, è capace pure di tutte le altre cattiverie.»

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«Il vero immortale è l'amor.»

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«L'arte e la letteratura sono l'emanazione morale della civiltà, la spirituale irradiazione dei popoli.»

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