«Ogni singola inchiesta richiede mediamente dai tre ai quattro mesi di lavoro. Gli argomenti vengono scelti sulla base prima di tutto della nostra curiosità, dalla voglia di capire una certa cosa.»
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«C'è una speranza: Milano che può contagiare il Paese intero. Incontro la speranza visitando le parrocchie, seguendo il lavoro pastorale dei miei preti, delle associazioni, del volontariato. Ma questa speranza perché non ha visibilitè Perché non fa notizia? Perché anche i media non si assumono la responsabilità di far circolare la speranza? Servono occhi di speranza per riconoscere quanto c'è di positivo e anche per suscitarlo.»
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«Ho scoperto di potere essere finalmente un'attrice, un mestiere che dà grandi possibilità di schizofrenia (che, in fondo, quelli che fanno questo mestiere hanno dentro). Vale a dire poter vivere vite e ruoli diversi; questo mestiere mi permetterà, penso, un grande sfogo anche a livello personale: potrò vivere la mia parte femminile, la mia parte maschile, la mia parte folle. Penso che sia anche terapeutico, da consigliare a tutti.»
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«È bello alternare ruoli piccoli e grandi. Non mi importa mai il budget, mi interessa la storia: non fa differenza se devo girare in esterni sotto la pioggia in Scozia con una troupe di 20 persone, o se mi ritrovo in un teatro di posa a Los Angeles con una troupe di 500 persone. È lo stesso lavoro, perfino sul palcoscenico dove hai responsabilità verso gli spettatori, solo che in quel caso hai più controllo della performance.»
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«I registi sono tutti unici nel loro genere. Non hanno l'opportunità di lavorare a stretto contatto con altri registi. Gli attori lavorano sempre a fianco di altri attori e quindi possono imparare e ispirarsi tra di loro. Mentre i registi sono sempre da soli sul set.»
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«Ieri avevo un appuntamento importante per un colloquio di lavoro e quindi mi sono vestito per l'occasione: giacca blu, cravatta e camicia bianca. Completava il mio abbigliamento un'utile cartella di cuoio modello dirigente con scomparti a fisarmonica, per sistemare i vari documenti che avevo con me: un biglietto del tram e "La Gazzetta dello Sport".»
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«Costanzo non mi piace. Litigammo nel 1994 quando fece trovare a Berlusconi un pubblico di persone ostili. Vespa invece ha creato "Porta a Porta", un capolavoro. È stato più utile lui di Costanzo. "Porta a Porta" è la cosa più utile che ci sia per il centro-destra.»
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«Non mi frega assolutamente nulla del potere. Rispetto i ruoli, il potere a livello istituzionale, quello sì. È un insegnamento di mio padre, che era maresciallo dei carabinieri. Il mio è un potere industriale che cerco di esercitare con cura, rimanendo fedele agli obblighi morali. Nulla di ciò che faccio è mosso da interessi personali. Incontro politici soltanto per lavoro, non frequento salotti torinesi, milanesi, romani.»
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«Abbiamo investito nel mestiere con una disciplina quasi calvinista, abbiamo restituito la dignità del lavoro alla gente degli stabilimenti che erano stati quasi completamente abbandonati. Per un mese sono andato ogni domenica a Mirafiori. Era come una casa dimenticata dalla sua famiglia, i costumi da bagno sbattuti assieme agli scarponi da sci, i libri in terra, il cibo con la muffa nel frigorifero.»
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«Realizzando il proprio lavoro, un cineasta vuole soprattutto invitare lo spettatore alla riflessione. Se questo aiuta a cambiare il mondo, ne sono felice.»
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«Sentiamo dire, sempre e continuamente, che il matematico lavora con l'istinto (o magari che non procede meccanicamente, al modo di un giocatore di scacchi) ma non riusciamo a percepire che cosa questo abbia a che fare con la natura della matematica.»
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«Faccio parte di quella generazione di ballerini classici che posso definire un po' ottusi: ho vissuto diversi anni all'estero, ho avuto la fortuna di lavorare in Inghilterra e di girare un po' tutto il mondo con il London Festival Ballett; noi che facevamo danza classica pura quasi snobbavamo i musical, non si andava neppure a vederli. Oggi non è più così, ma allora c'erano questi pregiudizi.»
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«Mai come oggi si riconosce al sindacato un improprio potere di cogestione sull'organizzazione delle aziende. L'organizzazione è da sempre compito esclusivo del datore di lavoro, della legge e non del contratto.»
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«Oggi l'orizzonte è quello della società dell'assistenza, ossia studiare poco, lavorare male e andare in pensione presto. E senza nessuna forma di valutazione.»
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«In Italia si vive l'apprendistato come alternativa alla scelta della formazione "vera": quella della scuola. Quando ho fatto la riforma dell'apprendistato - meglio, quando l'ha fatta Marco Biagi, io sono stato suo strumento - qualcuno mi ha detto: "Bisogna cambiargli nome. Non si può dargli un nome che ricorda la falegnameria, bisogna dargli un nome inglese, che so, apprenticeship. Appunto, apprendistato. L'anello di congiunzione tra scuola e lavoro è fondamentale.»
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«Il problema della precarizzazione sorge proprio dall'età: ho fatto il lavoratore precario a vent'anni e mai mi sono posto il problema; a trenta è un'altra cosa. I neo-laureati italiani approdano al mercato del lavoro senza avere mai raccolto ciliegie o scaricato cassette al mercato. Si laureano a 28 anni, in discipline poco spendibili e senza avere mai fatto un'esperienza lavorativa, e non solo si rifiutano di fare una fotocopia, ma non sono in grado di tenerla in mano: sono antropologicamente mutati.»
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«La conclusione degli studi e l'incontro con il mercato del lavoro avviene in età troppo avanzata, con pesanti implicazioni su altre tappe rilevanti dell'esistenza come l'uscita di casa, il matrimonio, la paternità. Ecco perché nella nostra società le funzioni responsabili non sono in mano ai giovani: difficilmente a 35 anni si avrà un ruolo direttivo se si è appena entrati nel mondo del lavoro.»
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«Fondamentale resta l'intuizione di Marco Biagi per cui ogni istituzione formativa dovrebbe dotarsi stabilmente di un servizio di orientamento, collocamento e monitoraggio - placement lo chiamano gli inglesi - come canale di dialogo permanente tra scuola/università e mondo del lavoro. Verrebbe così interrotta l'autoreferenzialità della funzione educativa.»
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